La Commedia di Dante raccontata in una prosa raffinata e colloquiale, qui nella lezione definitiva. Vittorio Sermonti ci scorta attraverso un capolavoro inesauribile, in grado di illuminare, dopo settecento anni, il nostro presente.
È un luogo comune che l’ultima tratta del pellegrinaggio oltremondano di Dante sia la più difficile e la più tediosa. “Come scongiurare che l’insofferenza concepita a scuola per la terza cantica della Commedia si perpetui lungo tutta la vita degli ex alunni, attutita appena dalle montanti ovatte dell’oblio?” Raccontando – come fa Vittorio Sermonti – la passione mentale e la sbalorditiva bellezza che distillano “le supreme pagine di poesia del più gran libro del millennio scorso”: la passione mentale che fa dire a Dante ciò che non sa né può dire, la bellezza di una lingua “trasumanata” per esprimere l’inenarrabile, l’immemorabile, l’incomprensibile. Sermonti ci guida attraverso il portentoso happening di beati e di segni sacri allestito per Dante, astronauta mistico. È un viaggio nella luce e nel mistero: il mistero di un antico poeta di Firenze che sostiene di essere salito in carne e ossa nell’alto dei cieli, di essere stato contemporaneo di Dio nell’armoniosa unicità dell’Essere, di aver visto “la nostra effige” nella “luce etterna”, e che, tornato sulla terra, prende carta e penna e riesce bene o male a trascriverla, quell’esperienza, a emendamento e salvazione di noi poveri fratelli futuri, in una lingua futura, a chiusa del libro sacro e comico che comincia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.