Enea, pastore di popoli e fondatore di città, piange sulle sofferenze che infligge e sugli orrori cui è costretto a presenziare. La regina Didone è una Medea in lacrime che da Enea, amante fedifrago, vorrebbe aver avuto almeno un bambino («quasi una Medea musicata da Puccini»). Il giovane re dei Rùtuli, Turno, ha il feroce candore di una vergine e, «turbato d'amore» per Lavinia, vorrebbe sfondare la corazza di «quella checca di Frigia» (cioè, di Enea). Lavinia arrossisce e si dispera, ma noi non sappiamo cosa passa davvero nella sua testa di ragazza spaurita, mentre capiamo benissimo che è sua madre a essere perdutamente innamorata di Turno, genero in pectore. E Giunone, nemica giurata di Enea, senza rendersene conto, fornisce al dottor Freud una stupenda epigrafe per la sua Interpretazione dei Sogni: «se non posso piegare i Celesti, mobiliterò l'Acheronte». Sullo sfondo, il senso di un Fato inappellabile, e la pulsione primaria degli uomini ad ammazzarsi fra loro.
Perché leggere oggi l'Eneide di Virgilio, con la guida e nella nuova traduzione di Vittorio Sermonti? Perché è «attuale»? Sì, ma nel senso che «la percezione del tempo presente e della sua velata fatalità non è mai così lancinante, come quando ascoltiamo le parole, la musica, le favole dei grandi classici». E soprattutto «perché — continua Sermonti — se la poesia, la grande poesia è, allo stesso tempo, misteriosa e domestica, misteriosamente domestica, come la conversazione dei grandi che i bambini ascoltano giocando sul tappeto», forse non esiste nulla al mondo che renda il timbro inconfondibile, l'emozione assoluta della poesia, come l'Eneide di Virgilio.